31 dicembre, 2005

Buon Anno!

Eccovi qui! Tutti a festeggiare...
ora commentate.... :)














22 dicembre, 2005

Il Manifesto



Questo è uno scritto proveniente da un'esigenza che alcuni miei ex-colleghi
universitari avevano di dare alla loro rivista un Manifesto. In principio
li ho presi per il culo "Un manifesto? Ma checcazzo è?" Poi ho continuato
scrivendo...
bene...lo pubblico qui perché mi piace che lo leggiate.



Il mio Manifesto è:

- Uno spettro si aggira per l'Europa è lo spettro dello zio Olderigo.
Com'è povero lo zio Olderigo! Com'è solo lo zio Olderigo! Com'è
candidamente voglioso lo zio Olderigo! Il problema è essere seri.

Allora;
Più si svuotano le parole della loro atmosfericità. Più il gigante che
Gonfia i palloni aerostatici sarà disoccupato. E Lindberg, come tragedia, non sarà più.
Più si evita di essere qualcosa (futuristi,astrattisti,ambigui,gay) e
più probabilmente è semplice sloggiare la vecchia cultura. L'ultima idea che ho di cultura è questa:
(dopo essere stato nell'ordine: impressionista, astrattista, decadente,
futurista, dark, gioiellista (uno che pratica con la gioia), toninoguerra e casinista) dicevamo prima della parentesi; l'ultima idea di cultura che ho è
questa: Leggendo le “Lettere luterane” di Pier Paolo Pasolini mi sono sentito preso in causa.
E cosa c'è di più toccante che non sentirsi preso in causa dalla Storia! Poi dalla Storia di uno dei Padri del Mondo (perché Pasolini E' uno dei Padri in quanto si preoccupa dei propri figli)! Bene trovato l'invito alla Storia vado a leggere il biglietto d'ingresso (Einaudi, 14euro).
Costa molto meno che Paolo Conte al Sistina...la Storia non è più in
buisness da molto tempo.
Questo c'era scritto sul biglietto bianco:

- Entrerai nella Storia a patto che tu riconosca d'essere Morto! -

Be' potete capire la confusione. Perché? Mi chiedevo. Perché tra l'altro
scriverlo soltanto? Come è possibile chiedere una cosa del genere? E' logicamente errata! E' una contraddizione in termini! Non posso essere (e riconoscermi) e non-essere allo stesso tempo! Pasolini, ti sarai sbagliato...
Poi il biglietto continuava:

- La Morte non è quella dei Corpi (benché i corpi non stiano bene) e non
è Decomposizione Culturale (DC eh! nda.), ma se alla Vita diamo la parte di contr’altare della Morte allora è più chiaro. Per entrare nella Storia devi essere Morto! -

La mia continuava a essere confusione! Io venivo da insegnamenti che mi
spiegavano che la Vita è Vita e la Morte è Morte. Non c'è molto da fare...Intellettualmente (intellettuisticamente) potevo trovare dei raggiri a ciò che il biglietto mi chiedeva, ma non riuscivo a darmene il senso profondo....morto...mi volevano...comunque il biglietto continuava:

- La Vita, per come tu la conosci, è esecrabile. Mentre sulla morte non
si può sentenziare, sulla tua Vita io giudico il Tempo e lo Spazio, il Sole e la Luna, gli Amori e gli Odi, il Sesso, il Senso e Li Condanno. -

Potevo scegliere se farmi i fatti miei. Potevo smettere di leggere e
continuare nel mio stato di vita. Far finta di non aver letto. Perché la condanna di un Padre faceva diventare il biglietto più che un invito.
La cosa mi stava terrorizzando. Era una condanna a Morte.

- Ti Condanno Andrea per essere il frutto di un'unione irresponsabile.
Ti condanno perché la Storia del Mondo ha permesso i figli dei Colpevoli, Voi, che come bestie pascolate inconsapevoli del Tempo che è passato. -

Ero quasi soffocato. Mentre tenevo in mano il biglietto, nella biblioteca, mi girava la testa. Il libro non aveva bisogno di spiegarsi oltre avevo capito a cosa si riferiva. Che cosa chiamava per "Morte". E' qualcosa che m'è
sempre stato familiare. Quello strano dolore che non punge come fanno
quasi tutti i dolori ma "chiama a sé". Che se anche non ti piace (come può a una persona sana piacere un dolore?) ti spinge a forzarne le porte. E ecco
che si identifica come "vizio". Però, vedete, non rimane fermo in quella
parola perché non determina il suo campo.
E poi le cose "viziose" cominciarono verso i sedici anni, io parlo di
roba più antica. Qualcosa che s'avvicina alla Morte. Ma è più mancanza di Vita. E' un VUOTO.

- Signore non son degno di partecipare alla tua mensa ma dì soltanto una
parola ed io sarò salvato -

...non la necessità di un Dio. Se sapessi cosa sia...

Il biglietto, dopo una lunga giornata, finiva con queste parole:

- Figlio mio che versi mari e monti
di lacrime, sappi che come la vita
rapisce il vivo, così la morte lo condanna.
Se ti condanna la vita a una morte
distratta, ricordami come uno spillo benevolo
guardiano del tuo mondo, crocifisso al monte
sepolto nel tempo
nella fossa comune dei vivi. -

19 dicembre, 2005

Il cervello a prostituirsi


Lo so che mi maledirete... ma provateci.
Io sono arrivato a pagina 15 per il momento.
Cercate di non barare, semmai vi darò qualche indizio su quelle che ho già risolto.

Buona prostituzione.

http://icap.altervista.org

16 dicembre, 2005

Un "mito"?


Poteva essere una foto come tante, di un bambino come tanti ma averla trovata, per caso, proprio in questi giorni in cui quel tipo, Ahmadinejad, continua nel suo assurdo delirio...insomma mi ha fatto un certo effetto. é tratta da : Sebastiana Papa, I bambini della Shoah.

12 dicembre, 2005

Sbarco su Marte

Siamo stati colonizzati.. gli svedesi legnofili e mangiaringhe sono arrivati anche in questo sperduto angolo di mondo. Io ero scappata da cose come Ikea e lei mi ha seguita.

10 dicembre, 2005

Decalogo

Le 10 frasi che una ragazza non vorrebbe mai sentirsi dire dal suo migliore amico (o almeno non tuttte in una sola serata):

1. che cazzo hai fatto ai capelli? (appena la rivede dopo tanto tempo basterebbe un “ciao come stai”)
2. ma hai pure pagato per farteli? (ecco…appunto…)
3. stavi meglio prima
4. …perché t’arrabbi guarda che è un complimento!
5. …ma il tipo? T’ha mollato?
6. mi fai mettere un attimo al tuo posto? (rifilandole così il posto che lei ha accuratamente evitato durante tutta la serata)
7. complimenti per la foto sul blog…non l’avrei mai detto
8.(tanto per restare in tema…)…da quando hai smesso di mettere la carta nel reggiseno?
9.(ma tornando al tema centrale della serata…) …cmq ha ragione Silvia, quando somigliavi ad un clown sembravi meno aggressiva
10.(e dulcis in fundo)…chi ti vede per la prima volta magari pensa che sei più bella ma a me che ti conosco sembri più…CORROTTA …capisci cosa intendo?

Morale: se avete un’amica riccia che si alliscia un po’ i capelli non prendete esempio da Jonny per commentare il suo look.

08 dicembre, 2005

Piccola protesta

Caro pasticcio,
la prossima volta che scrivi un post come quello e poi lo cancelli giuro che vengo a cercarti e ti meno.
Questa mattina sono corsa a dare una sbirciata al blog perchè ero curiosa di vedere se ieri sera Marco aveva avuto la forza di scrivere il suo post sul seno...e invece ne trovo uno di Paolo. Allora mi armo della dovuta calma e concentrazione e inizio a leggere. Arrivo alla fine, non ci ho capito niente, ma è normale - mi dico - Jonny mi aveva avvertito: "rinuncia a capire al volo certe cose". E così torno ai miei libri ma non demordo, prima o poi ci troverò un senso...tra una faccenda e l'altra penso "però quella storia dell'essere-non essere...le categorie...al liceo qualcosa del genere...cavolo possibile che non mi ricordi niente...". Dopo un paio di ore passate più o meno così penso "dai, lo leggi un'altra volta e sicuramente ti sarà più chiaro" e quindi torno sul blog e....puff...sparito!!! Allora questo è "sadismo"! o forse è il caso che io smetta di impuntarmi così sulle cose...
Nel frattempo però è apparso quello di Marco ma anche qui avrei da protestare...chi ti ha autorizzato a mettere la mia foto sul tuo post??
Oggi a casa mia si respira quella noiosissima aria di "festa" tipica delle mie odiosissime domeniche...grazie per avermi movimentato un po' la giornata!
Buona "domenica" a tutti!
Un bacio

I giovani infelici

Bene, vedo che ha postato anche Marco. Così abbiamo da commentare, con questo, tre post.
Scusatemi per la lunghezza e per il momento inopportuno ma è stato, vi giuro, necessario. Ho appena speso un'ora per copiare questo articolo di Pasolini sui giovani infelici (articolo uscito postumo nella raccolta "Lettere luterane"). Anche questa fatica ha un senso nel discorso che proviamo a fare con Paolo e credo che nessuno di voi abbia difficoltà a sentirlo vicino...

I GIOVANI INFELICI

Uno dei temi più misteriosi del teatro tragico greco è la predestinazione dei figli a pagare le colpe dei padri.
Non importa se i figli sono buoni, innocenti, pii: se i loro padri hanno peccato, essi devono essere puniti.
E’ il coro – un coro democratico – che si dichiara depositario di tale verità: e la enuncia senza introdurla e senza illustrarla, tanto gli pare naturale.
Confesso che questo tema del teatro greco io l’ho sempre accettato come qualcosa di estraneo al mio sapere, accaduto "altrove" e in un "altro tempo". Non senza una certa ingenuità scolastica, ho sempre considerato tale tema come assurdo e, a sua volta, ingenuo, "antropologicamente" ingenuo.
Ma poi è arrivato il momento della mia vita in cui ho dovuto ammettere di appartenere senza scampo alla generazione dei padri. Senza scampo, perché i figli non solo sono nati, non solo sono cresciuti, ma sono giunti all’età della ragione e il loro destino, quindi, comincia a essere ineluttabilmente quello che deve essere, rendendoli adulti.
Ho osservato a lungo in questi ultimi anni, questi figli. Alla fine, il mio giudizio, per quanto esso sembri anche a me stesso ingiusto e impietoso, è di condanna. Ho cercato molto di capire, di fingere di non capire, di contare sulle eccezioni, di sperare in qualche cambiamento, di considerare storicamente, cioè fuori dai soggettivi giudizi di male e di bene, la loro realtà. Ma è stato inutile. Il mio sentimento è di condanna. I sentimenti non si possono cambiare. Sono essi che sono storici. E’ ciò che si prova, che è reale (malgrado tutte le insincerità che possiamo avere con noi stessi). Alla fine – cioè oggi, primi giorni del ’75 – il mio sentimento è, ripeto, di condanna. Ma poiché , forse, condanna è una parola sbagliata (dettata, forse, dal riferimento iniziale al contesto linguistico del teatro greco), dovrò precisarla: più che una condanna, infatti il mio sentimento è una "cessazione di amore": cessazione di amore, che, appunto, non dà luogo a "odio" ma a "condanna".
Io ho qualcosa di generale, di immenso, di oscuro da rimproverare ai figli. Qualcosa che resta al di qua del verbale: manifestandosi irrazionalmente, nell’esistere, nel "provare sentimenti". Ora, poiché io – padre ideale – padre storico – condanno i figli, è naturale che, di conseguenza, accetti, in qualche modo l’idea della loro punizione.
Per la prima volta in vita mia, riesco così a liberare nella mia coscienza, attraverso un meccanismo intimo e personale, quella terribile, astratta fatalità del coro ateniese che ribadisce come naturale la "punizione dei figli".
Solo che il coro, dotato di tanta immemore e profonda saggezza, aggiungeva che ciò di cui i figli erano puniti era la "colpa dei padri".
Ebbene, non esito neanche un momento ad ammetterlo: ad accettare cioè personalmente tale colpa.
Se io condanno i figli (a causa di una cessazione di amore verso di essi) e quindi presuppongo una loro punizione, non ho il minimo dubbio che tutto ciò accada per colpa mia. In quanto padre. In quanto uno dei padri. Uno dei padri che si son resi responsabili, prima, del fascismo, poi di un regime clerico-fascista, fintamente democratico, e, infine, hanno accettato la nuova forma del potere, il potere dei consumi, ultima delle rovine, rovina delle rovine.
La colpa dei padri che i figli devono pagare è dunque il "fascismo", sia nelle suo forme arcaiche, che nelle sue forme assolutamente nuove – nuove senza equivalenti possibili nel passato?
Mi è difficile ammettere che la "colpa" sia questa. Forse anche per ragioni private e soggettive. Io, personalmente, sono sempre stato antifascista, e non ho accettato mai neanche il nuovo potere di cui in realtà parlava Marx, profeticamente, nel Manifesto, credendo di parlare del capitalismo del suo tempo. Mi sembra che ci sia qualcosa di conformistico e troppo logico – cioè di non-storico – nell’identificare in questo la colpa.
Sento ormai intorno a me lo "scandalo dei pedanti" - seguito dal loro ricatto – a quanto sto per dire. Sento già i loro argomenti: è retrivo, reazionario, nemico del popolo chi non sa capire gli elementi sia pur drammatici di novità che ci sono nei figli, chi non sa capire che essi comunque sono vita. Ebbene, io penso, intanto, che anch’io ho diritto alla vita – perché, pur essendo padre, non per questo cesso di essere figlio. Inoltre per me la vita si può manifestare egregiamente, per esempio, nel coraggio di svelare ai nuovi figli, ciò che io veramente sento verso di loro. La vita consiste prima di tutto nell’imperterrito esercizio della ragione: non certo nei partiti presi, e tanto meno nel partito preso della vita, che è puro qualunquismo. Meglio essere nemici del popolo che nemici della realtà.
I figli che ci circondano, specialmente i più giovani, gli adolescenti, sono quasi tutti dei mostri. Il loro aspetto fisico è quasi terrorizzante, e quando non terrorizzante, è fastidiosamente infelice. Orribili pelami, capigliature caricaturali, carnagioni pallide, occhi spenti. Sono maschere di qualche iniziazione barbarica, squallidamente barbarica. Oppure, sono maschere di una integrazione diligente e incosciente, che non fa pietà.
Dopo aver elevato verso i padri barriere tendenti a relegare i padri nel ghetto, si son trovati essi stessi chiusi nel ghetto opposto. Nei casi migliori, essi stanno aggrappati ai fili spinati di quel ghetto, guardando verso di noi, tuttavia uomini, come disperati mendicanti, che chiedono qualcosa solo con lo sguardo, perché non hanno coraggio, né forse capacità di parlare. Nei casi né migliori né peggiori (sono milioni) essi non hanno espressione alcuna: sono l’ambiguità fatta carne. I loro occhi sfuggono, il loro pensiero è perpetuamente altrove, hanno troppo rispetto i troppo disprezzo insieme, troppa pazienza o troppa impazienza. Hanno imparato qualcosa di più in confronto ai loro coetanei di dieci o vent’anni prima, ma non abbastanza. L’integrazione non è più un problema morale, la rivolta si è codificata. Nei casi peggiori sono veri e propri criminali. Quanti sono questi criminali? In realtà, potrebbero esserlo quasi tutti. Non c’è gruppo di ragazzi, incontrato per strada, che non potrebbe essere un gruppo di criminali Essi non hanno nessuna luce negli occhi: i lineamenti sono lineamente contraffatti di automi, senza che niente di personale li caratterizzi da dentro. La stereotipia li rende infidi. Il loro silenzio può precedere una trepida domanda di aiuto (che aiuto?) o può precedere una coltellata. Essi non hanno più la padronanza dei loro atti, si direbbe dai muscoli. Non sanno bene qual è la distanza tra causa ed effetto. Sono regrediti – sotto l’aspetto esteriore di una maggiore educazione scolastica e di una migliorata condizione di vita – a una rozzezza primitiva. Se da una parte parlano meglio, ossia hanno assimilato il degradante italiano medio – dall’altra sono quasi afasici: parlano vecchi dialetti incomprensibili, o addirittura tacciono, lanciando ogni tanto urli gutturali e interiezioni tutte di carattere osceno. Non sanno sorridere o ridere. Sanno solo ghignare o sghignazzare. In questa enorme massa (tipica, soprattutto, ancora una volta!, dell’inerme Centro-Sud) ci sono delle nobili élites, a cui naturalmente appartengono i figli dei miei lettori. Ma questi miei lettori non vorranno sostenere che i loro figli sono dei ragazzi felici (disinibiti o indipendenti, come credono e ripetono certi giornalisti imbecilli, comportandosi come inviati fascisti in un lager). La falsa tolleranza ha reso significative, in mezzo alla massa dei maschi, anche le ragazze. Esse sono in genere, personalmente migliori: vivono infatti un momenti di tensione, di liberazione, di conquista (anche se in modo illusorio). Ma nel quadro generale la loro funzione finisce con l’essere regressiva. Una libertà "regalata", infatti, non può vincere in esse, naturalmente, le secolari abitudini alla codificazione.
Certo: i gruppi di giovani colti (del resto assai più numerosi di un tempo) sono adorabili perché strazianti. Essi, a causa di circostanze che per le grandi masse sono finora solo negative, e atrocemente negative, sono più avanzati, sottili, informati, dei gruppi analoghi di dieci o vent’anni fa. Ma che cosa possono farsene della loro finezza e della loro cultura?
Dunque, i figli che noi vediamo intorno a noi sono figli "puniti": "puniti", intanto, dalla loro infelicità, e poi, in futuro, chissà da che cosa, da quali ecatombe (questo è il nostro sentimento, insopprimibile).
Ma sono figli "puniti" per le nostre colpe, cioè per le colpe dei padri. E’ giusto? Era questa, in realtà, per un lettore moderno, la domanda, senza risposta, del motivo dominante del teatro greco.
Ebbene sì, è giusto. Il lettore moderno ha vissuto infatti un’esperienza che gli rende finalmente, e tragicamente, comprensibile l’affermazione - che pareva così ciecamente irrazionale e crudele – del coro democratico dell’antica Atene: che i figli cioè devono pagare le colpe dei padri. Infatti i figli che non si liberano delle colpe dei padri sono infelici: e non c’è segno più decisivo e imperdonabile di colpevolezza che l’infelicità. Sarebbe troppo facile e, in senso storico e politico, immorale, che i figli fossero giustificati – in ciò che c’è di loro di brutto, repellente, disumano – dal fatto che i padri hanno sbagliato. L’eredità paterna negativa li può giustificare per una metà, ma dall’altra metà sono responsabili loro stessi. Non ci sono figli innocenti. Tieste è colpevole, ma anche i suoi figli lo sono. Ed è giusto che siano puniti anche per quella metà di colpa altrui di cui non sono stati capaci di liberarsi.
Resta sempre tuttavia il problema di quale sia in realtà, tale "colpa" dei padri.
E’ questo che sostanzialmente, alla fine, qui importa. E tanto più importa in quanto, avendo provocato una così atroce punizione, si deve trattare di una colpa gravissima. Forse la colpa più grave commessa dai padri in tutta la storia umana. E questi padri siamo noi. Cosa che ci sembra incredibile.
Come ho già accennato, intanto, dobbiamo liberarci dall’idea che tale colpa di identifichi col fascismo vecchio e nuovo, cioè dall’effettivo potere capitalistico. I figli che vengono oggi così crudelmente puntiti dal loro modo di essere (e in futuro, certo, da qualcosa di più oggettivo e di più terribile), sono anche figli di antifascisti e di comunisti.
Dunque fascisti e antifascisti, padroni e rivoluzionari, hanno una colpa in comune. Tutti quanti noi, infatti, fino oggi, con un inconscio razzismo, quando abbiamo parlato specificamente di padri e di figli, abbiamo sempre inteso parlare di padri e di figli borghesi.
La storia era la loro storia.
Il popolo, secondo noi, aveva una sua storia a parte, arcaica, in cui i figli, semplicemente, come insegna l’antropologia delle vecchie culture, reincarnavano e ripetevano i padri.
Oggi tutto è cambiato: quando parliamo di padri e di figli, se per padri continuiamo sempre a intendere i padri borghesi, per figli intendiamo sia i figli borghesi che i figli proletari. Il quadro apocalittico, che io ho abbozzato qui sopra, dei figli, comprende borghesia e popolo.
Le due storie si sono dunque unite: ed è la prima volta che ciò succede nella storia dell’uomo.
Tale unificazione è avvenuta sotto il segno e per volontà della cività dei consumi: dello "sviluppo". Non si può dire che gli antifascisti in genere e in particolare i comunisti, si siano veramente opposti a una simile unificazione, il cui carattere è totalitario – anche se la sua repressività non è arcaicamente poliziesca (e se mai ricorre a una falsa permissività).
La colpa dei padri dunque non è solo la violenza del potere, il fascismo. Ma essa è anche: primo, la rimozione della coscienza, da parte di noi antifascisti, del vecchio fascismo, l’esserci comodamente liberati della nostra profonda intimità (Pannella) con esso (l’aver considerato i fascisti i come dice una frase di Sforza ricordata da Fortini); secondo, e soprattutto, l’accettazione – tanto più colpevole quanto inconsapevole – della violenza degradante e dei veri, immensi genocidi del nuovo fascismo.
Perché tale complicità col vecchio fascismo e perché tale accettazione del nuovo fascismo?
Perché c’è - ed eccoci al punto – un’idea conduttrice sinceramente o insinceramente comune a tutti: l’idea cioè che il male peggiore del mondo sial la povertà e che quindi la cultura delle classi povere deve essere sostituita con la cultura della classe dominante.
In altre parole la nostra colpa di padri consisterebbe in questo: nel credere che la storia non sia e non possa essere che la storia borghese.

Pas

da "IL SENO" di Philip Roth

Torso arcaico di Apollo

Non conoscemmo il suo capo inaudito,
e le iridi che vi maturavano. Ma il torso
tuttavia arde come un candelabro
dove il suo sguardo, solo indietro volto,

resta e splende. Altrimenti non potrebbe abbagliarti
la curva del suo petto e lungo il volgere
lieve dei lombi scorrere un sorriso
fino a quel centro dove l'uomo genera.

E questa pietra sfigurata e tozza
vedresti sotto il diafano architrave delle spalle,
e non scintillerebbe come pelle di belva,

e non eromperebbe da ogni orlo come un astro:
perché là non c'è punto che non veda
te, la tua vita. Tu devi mutarla.

Rainer Maria Rilke


grazie andrea!