20 ottobre, 2005

Statue e Stato


Di questi giorni la notizia dell'ultima fontana di Roma deturpata di notte da vandali. Di qualche mese fa quella del Nettuno a Firenze. Ed ogni volta mi chiedo se a sentire e vedere tutto ciò solo a me, per qualche strano motivo, salga una rabbia indescrivibile. Sono stufa di sentirne parlare come di "ragazzate"...saranno pure tali però non basta a giustificarle. Il bello è che in realtà non ho nessuna proposta per impedire o prevenire questi atti (è impensabile di proteggere ogni monumento) ed ho il terrore che diventi una moda.
Ma io mi chiedo: cos'è che può spingere ad arrampicarsi su una statua e romperla? Quale gusto potrà esserci?
Mi rendo conto anche che ci sono centinaia di problemi più impellenti da risolvere in Italia e sui quali investire ... forse è solo un problema di "coscienza storica" più che artistica.
Oggi mi è capitato di leggere quest'articolo di Sgarbi e ,a prescindere dall'autore e dalle sue vicende politiche, sono d'accordo con lui:

"C'è stato un grande equivoco, e io ho tentato in molte occasioni di chiarire al Presidente del Consiglio che la rivoluzione si doveva iniziare proprio a partire da una rinnovata coscienza della nostra civiltà. E' stato per molti un sogno, e ora per la Destra è diventato un punto d'onore, il ponte sullo stretto di Messina, per la lunghezza, per la semplicità delle forme, per il tentativo di non stabilire un pesante impatto ambientale; ma, nondimeno, hanno ragione i deputati europei che hanno votato contro la realizzazione del ponte, perché non è una grande opera. Grandi opere non sono i tentativi di mostrare la capacità dell'uomo di sfidare la natura. Grandi opere sono le imprese compiute, che rendono il nostro passato così presente e vivo da muovere milioni di persone ogni anno verso l'Italia. La vergogna di vedere palazzi e ville in abbandono, chiese e conventi con i soffitti sfondati, monumenti e statue in balia dei vandali è così terribile da non poter essere sopportata, perfino da animi insensibili. Una civiltà si misura dalla capacità di difendere e di conservare la memoria. A quante grandi opere potrebbe contribuire lo Stato sistemando i musei, molti dei quali vergognosamente trascurati? Non è evidentemente un fatto politico, ma di difesa di ciò che è "proprio" e stabilisce una identità. Quante volte ho detto a Berlusconi di sottolineare l'impegno del Governo sul restauro del devastato teatro La Fenice. Una vera e propria rinascita che avrebbe mostrato davanti all'Europa e davanti al mondo una "grande opera" degli architetti e degli artigiani italiani. Un'occasione perduta per la totale assenza dello Stato, sia rispetto all'orgoglio dell'impresa, sia rispetto al controllo della qualità dei lavori, eseguiti in modo insufficiente e inadeguato. Occorreva grande impegno per ricostruire la Fenice, come era e dove era, secondo i principi di una legge promossa dalla Commissione Cultura che io presiedevo durante il Governo Dini. E non è corrisposta una convinta adesione neanche agli sforzi con cui io ho dato stimolo alla ripresa dei lavori di ricostruzione, ora in corso, dell'altro teatro incendiato, il Petruzzelli di Bari. Il mondo ci guarda, e ci giudica per iniziative come queste, da considerare in ogni senso "grandi opere". Un'altra grande impresa da cui il Governo sembra distratto, soprattutto nel far conoscere un impegno che non è mancato, è Venaria di Torino. Non si fanno conoscere le buone iniziative; non si ha notizia della presenza dello Stato anche dove essa e forte e determinante, e si inseguono le chimere di un improbabile futuro, irrimediabilmente superato. Si costruiscono orrori, senza obiezioni da parte di chi dovrebbe impedirli, e si lasciano andare in rovina testimonianze storiche straordinarie. Quante volte ho verificato la vergogna di non essere in grado di curare ciò per cui si chiede la suprema vigilanza! Guardare al futuro non vuol dire necessariamente trasferire in una dimensione onirica le speranze e le conquiste della tecnologia, ma lasciare a chi verrà dopo di noi la realtà inalterata del nostro patrimonio, non minacciato da vandali e ladri, ma da amministratori ignoranti e indifferenti. L'errore del ponte di Messina era un errore contro la poesia, e non ne farei una questione di Destra o di Sinistra. Il monito di questa battuta d'arresto non deve indurre a una reazione indispettita, di ripicca; ma a una riflessione sul concetto di grandezza, e su come esso possa essere equivocato. Nessuna offesa all'orgoglio imprenditoriale e anche alla sfida alla natura, concepita da chi ha voluto il ponte, ma uno spostamento del concetto di "grandi opere" a valori diversi, che non escludono l'attualità ma che contemplano l'attualità del passato."