08 dicembre, 2005

da "IL SENO" di Philip Roth

Torso arcaico di Apollo

Non conoscemmo il suo capo inaudito,
e le iridi che vi maturavano. Ma il torso
tuttavia arde come un candelabro
dove il suo sguardo, solo indietro volto,

resta e splende. Altrimenti non potrebbe abbagliarti
la curva del suo petto e lungo il volgere
lieve dei lombi scorrere un sorriso
fino a quel centro dove l'uomo genera.

E questa pietra sfigurata e tozza
vedresti sotto il diafano architrave delle spalle,
e non scintillerebbe come pelle di belva,

e non eromperebbe da ogni orlo come un astro:
perché là non c'è punto che non veda
te, la tua vita. Tu devi mutarla.

Rainer Maria Rilke


grazie andrea!

10 Comments:

Blogger De Andrea said...

Io in questa poesia, compreso il tema, poi, non mi ci raccapezzo(lo).

bene, leggendola meglio, proprio mentre cercavo di commentarla ho capito l'immagine. Siccome ho letto il libro credevo che parlasse del corpo di una donna e invece, come suggerisce il titolo, dice evidentemente del torso di Apollo. E siccome ho letto il libro ora capisco il senso della metamorfosi. E della nostra possibile metamorfòsi (verbo che indica l'atto) in uomo. Tu devi mutarla! --> la vita. Nella virtù, nella bellezza? Due termini che non capisco ora più che mai. Marco,se puoi, trascrivi anche l'ultima parte del libro...la parte che anticipa a questa poesia, forse mi/ci può aiutare.

08 dicembre, 2005 12:37  
Blogger Laura said...

a me sfugge il senso di questa parte:
"perchè là non c'è punto che non veda te, la tua vita"

Là dove?

08 dicembre, 2005 15:24  
Blogger De Andrea said...

là, sulla pietra.

08 dicembre, 2005 16:45  
Blogger .: Rents :. said...

bhè..ci sono diversi pezzi nelle ultime pagine che giustificano questa citazione secondo me e che le danno una forma nuova, secondo Kepesh, il protagonista. Vediamo un pò..Per correttezza verso chi magari gliene frega un pò è la storia di un professore di lettere che subisce misteriosamente una metamorfosi trasformandosi in "un enorme seno di donna, di settanta chili".

[...]
"E' stata la narrativa a ridurmi così?- E come avrebbe potuto, Mr Kepesh?- domanda il dottor Klinger.- No, gli ormoni sono ormoni, e l'arte è arte. Lei non è una vittima di un'overdose di fantasie.
-Davvero? Non ne sono sicuro. Questo potrebbe benissimo essere il mio modo di essere un Kafka, un Gogol', uno Swift. Loro riuscirono a immaginare l'incredibile, avevano il linguaggio, loro, e quei cervelli implacabilmente creativi. Ma io non avevo né uno né gli altri, non avevo niente - aspirazioni letterarie e nient'altro. Amavo l'estremo in letteratura, idolatravo quelli che lo creavano, ero praticamente ipnotizzato dalle immagini e dalla loro suggestione... - E allora? Dunque? Il mondo è pieno di innamorati dell'arte, no? - Dunque ho fatto il salto. Ho reso la parola carne. Non vede, sono più kafkiano di Kafka-. Klinger rise, come se fosse solo una battuta.- Dopotutto quale artista è più grande, quello che immagina la trasformazione meravigliosa o quello che trasforma se stesso? Perchè David Kepesh? Perchè proprio io, fra tutti, dotato di simili poteri? Semplice. Perchè Kafka, allora? Perchè Gogol'? Perchè Swift? Perchè chiunque? La grande arte tocca alle persone allo stesso modo di tutto il resto. E questa è la mia grande opera d'arte!"
[...]
"Così, lasciatemi conlcludere l'ora con la poesia di Rainer Maria Rilke intitolata Torso arcaico di Apollo, scritta a Parigi nel 1908. Forse la mia storia, raccontata qui dall'inizio alla fine per la prima volta e con tutta la sincerità che è in me, se non altro darà alla poesia di Rilke una luce nuova, soprattutto nell'ammonimento finale, che non è necessariamente il sentimento elevato che a prima vista potrebbe sembrare. Deficienti e pazzi, duri e scettici, amici, studenti, parenti, colleghi e tutti voi, distratti sconosciuti, con i vostri miliardi di diverse facce e impronte digitali - compagni mammiferi, avanti con la nostra cultura, una volta per tutte."

(Segue la poesia)

08 dicembre, 2005 19:56  
Blogger De Andrea said...

non credo di avere qualcos'altro da dire...ricordavo l'esortazione a portare avanti la culura. Questo però non mi risolve la poesia. Voi che pensate? La culura intesa come metamorfosi dell'uomo? Forse. Forse, come i gatti. Come i gatti che sono così eleganti sempre, ed è strano in effetti. Probabilmente l'eleganza è un'espressione del virtuosismo (vi prego non pensate a John Petrucci)...ma il virtuosismo? O meglio, la virtu? Che d'è? E' un derivato della morale? Secondo voi Dante aveva davvero le visioni? E quindi, Dante è sempre sincero? E, in risposta negativa, noi che non scriviamo più per visioni, siamo più sinceri di Dante? E nella matriciana, la cipolla, ce la mettete?

09 dicembre, 2005 15:49  
Blogger .: Rents :. said...

la questione si fa difficile...cmq credo che la cipolla stia meglio nella carbonara.
chi è john petrucci? :)

09 dicembre, 2005 19:07  
Blogger De Andrea said...

Marco..da ex progressive non me lo aspettavo..
comunque è il chitarrista dei Dream Theatre

09 dicembre, 2005 20:30  
Blogger Claudia said...

Punto primo: la cipolla nella carbonara e quasi una bestemmia, mentre nella matriciana e d'obbligo (sto scrivendo da una tastiera spagnola e non trovo le vocali accentate, aiuto!). Fatevi servire...

12 dicembre, 2005 13:43  
Blogger De Andrea said...

Eppure Aldo Fabbrizi in un suo film diceva ad una aspirante inserviente:
"Come unica domanda per assumerti ti faccio questa: Nell'Amatriciana (nda. mi ero sbagliato non si scrive "matriciana") la cipolla, ce la metti?" E lei di pronta risposta: "No, non ci vuole niente nell'Amatriciana." Lui: Brava, assunta!"

capisc'!

12 dicembre, 2005 18:13  
Blogger Claudia said...

Nota a margine: hai ragione, si scrive amatriciana, in quanto tipica del paese Amatrice.

15 dicembre, 2005 13:09  

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